Goji un nuovo superfruit

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goji
Tanto acclamato per le proprietà nutrizionali, quanto sconosciuto sul piano agronomico e varietale. I primi impianti sperimentali in Piemonte confermano l’adattabilità della specie agli ambienti pedemontani dove potrebbe affiancare ed arricchire la tradizionale produzione di piccoli frutti.

Il goji è un arbusto appartenente alla famiglia delle Solanacee che cresce spontaneamente in Cina, Tibet e in altre regioni dell'Asia e produce frutti ellissoidali, lunghi 1-2 cm, di colore rosso-arancio brillante (Fig. 1). Fra i vari nomi comuni utilizzati a livello mondiale il più diffuso, “wolfberry”, deriva dalla traduzione del termine “gou” che in lingua cinese significa lupo. Il nome “goji” fu poi coniato nel 1973 dai ricercatori del Tanaduk Botanical Research Institute (TBRI).

Le due specie principali, Lycium barbarum L. e Lycium chinense Miller, sono molto affini e hanno una lunga tradizione come piante alimentari e medicinali in Cina e in altri Paesi asiatici: la differenziazione delle due specie sulla base di sole analisi morfologiche e istologiche è molto delicata, mentre è necessario ricorrere a verifiche genotipiche con tecniche molecolari per far luce nella notevole confusione di genotipi presenti a livello vivaistico e negli impianti produttivi (Potterat, 2010).

L’areale di origine del genere Lycium non è ancora ben chiaro, ma lo si può collocare nel bacino del Mediterraneo, da dove si è ampiamente distribuito nelle regioni a clima caldo-temperato, in particolare nell’area Sud-occidentale del Mediterraneo e in Asia centrale. Attualmente il goji è coltivato anche in Nord America e Australia come siepe da giardino (Donno, Beccaro, Mellano, Cerutti, & Bounous, 2014).

  1. barbarum cresce fino a 3 m in altezza, mentre L. chinense presenta dimensioni della chioma leggermente inferiori. Entrambe le specie presentano da uno a tre fiori ascellari. Il frutto è ovoidale, con apice tendenzialmente acuto, lungo 6-20 mm e largo 3-8 mm, e pericarpo variante dal rosso-aranciato al rosso scuro. I frutti sono raccolti a partire dal mese di agosto fino al tardo autunno, a seconda della latitudine e delle condizioni pedoclimatiche, e consumati di norma disidratati; la successiva essiccazione è effettuata tradizionalmente dapprima all'ombra fino al raggrinzimento della buccia e successivamente al sole, fino a indurimento ed essiccamento completo solo della parte più esterna per mantenere la polpa ancora morbida. Recentemente sono stati sviluppati protocolli per ottenere un’essiccazione più omogenea e standardizzata attraverso metodiche a caldo (in stufa a 40°C fino a peso costante) o a freddo.

Le piante e i frutti sono soggetti all’attacco di numerosi parassiti, ma esistono anche molti antagonisti naturali che permettono il controllo, in particolare, di Aphis e Paratrioza (Amagase e Farnsworth, 2011).

Il recente successo commerciale del goji è dovuto principalmente ai pregi nutraceutici dei frutti. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato gli effetti positivi dei frutti di goji su benessere generale, invecchiamento cellulare, neuro-protezione, controllo del glucosio nei diabetici, immuno-modulazione, attività anti-tumorale e cito-protezione. Ampiamente usati nella medicina tradizionale cinese, i frutti di L. barbarum e L. chinense possono essere classificati come alimento nutraceutico (Amagase, Sun e Borek, 2009).

Per queste ragioni il mercato del goji è oggi in significativa espansione: la Cina è il principale produttore mondiale e nel 2010 ha generato un fatturato totale di 120 milioni di dollari, con una produzione di 95.000 t, derivante da 82.000 ettari coltivati a livello nazionale. La maggior parte dei “wolfberry” prodotti commercialmente provengono da impianti di L. barbarum e L. chinense nelle regioni del Ningxia Hui nel centro-Nord della Cina e dello Xinjiang Uyghur in Cina occidentale; inoltre, il goji è anche coltivato nelle valli della Mongolia.

I frutti di goji e i loro derivati (succhi, integratori), di solito costosi, sono venduti sul mercato alimentare dei prodotti per la salute, spesso sul web, e sono elogiati per avere un importante impatto sul mantenimento di un elevato stato di benessere e longevità: per questi motivi la domanda di mercato di goji è cresciuta notevolmente e, anche a causa della difficoltà di identificazione dei diversi genotipi, il più facilmente reperibile (L. chinense) è spesso venduto in luogo  di L. barbarum (Zhong, Shahidi e Naczk, 2013).

Prime valutazioni sul comportamento agronomico in Piemonte

Confidando in un interesse commerciale della coltura, in Piemonte sono stati realizzati i primi impianti su una superficie di circa 3 ettari. Presso il Centro di ricerca per i piccoli frutti di Boves (Cn), il CReSO ha introdotto alcune decine di varietà di goji e allestito un impianto sperimentale (Fig. 2). Si intende chiarire i vari aspetti di tecnica colturale in relazione all’ambiente pedemontano, che si ritiene adatto alla specie.

Sotto il profilo agronomico, il goji mostra limitate esigenze, adattandosi a diversi tipi di terreno, pur non gradendo suoli a reazione acida o asfittici. Non presenta elevati fabbisogni idrici, così che la distribuzione pluviometrica degli ambienti pedemontani appare più che sufficiente, anche se l’irrigazione localizzata è una pratica generalizzata nei territori di coltivazione dei piccoli frutti. La pianta cresce rapidamente: in L. chinense l’accrescimento dei getti supera 1,5 m/anno. In assenza di potatura forma cespugli vigorosi e disordinati, similmente ai rovi spontanei.

Per ottenere un equilibrio vegetativo, che non causi intralcio alle operazioni colturali, sono apparse adatte distanze di impianto non inferiori a 2,5 m tra le file e tra 1 e 1,5 m sulla fila, in funzione del vigore della varietà, della fertilità del terreno e della forma di allevamento. Sono state adottate forme di allevamento che da un lato assecondino l’habitus vegetativo e dall’altro consentano l’accessibilità alle operazioni colturali, dalla gestione del suolo alla raccolta. Presso il Centro sperimentale sono a confronto l’asse centrale, adatto alle varietà che si rivestono facilmente di ramificazioni, e una sorta di palmetta realizzata con cordoni laterali inseriti sull’asse con una angolatura di 45°. Alcune varietà sono inermi, ma altre presentano spine molto pungenti, simili a quelle dell’uva spina, che rendono difficoltosa sia la gestione della pianta (legatura e potatura), sia la raccolta. La maggior parte dei genotipi riferibili a L. chinense è molto pollonifera, diventando difficili da eradicare al pari di un’infestante.

Le avversità di maggior rilievo riscontrate in Piemonte sono l’oidio (Erysiphe spp.) e gli eriofidi (Aceria spp.). L. chinense è apparso più sensibile a entrambe. Si segnalano anche attacchi di alternaria (Alternaria solani) e antracnosi (Colletotrichum spp.). Nel 2014 sono stati rinvenuti frutti con deformazioni attribuibili a Halyomorpha halys e rosure da formiche. Le bacche di L. chinense presentano epidermide più sottile che, associata all’elevata succosità, aumenta la suscettibilità alle ovideposizioni di Drosophila suzukii. Nel complesso, è più facile individuare varietà più rustiche all’interno della specie L. barbarum. E’ un aspetto di non poco conto, considerato che in Italia non sono registrate sostanze attive sulla coltura, mentre sono ammessi i residui previsti per il pomodoro.

I fiori, ermafroditi e autofertili, sono portati sui rami dell’anno. La fioritura è scalare, così come la maturazione (Fig. 3). Il tempo che intercorre fra fioritura e maturazione è in media 40 gg. L’inizio della raccolta si colloca tra la seconda metà di agosto (accessioni a maturazione precoce) e l’ultima decade di settembre (varietà tardive). La raccolta prosegue in ogni caso fino a novembre, interrotta solo dalle prime gelate autunnali. Gli stacchi possono essere distanziati di circa 10 giorni e la resa alla raccolta (3 kg/h) è influenzata da pezzatura dei frutti, forma di allevamento e presenza di spine. In considerazione delle epoche di maturazione è consigliabile, negli areali più tardivi, prevedere il ricorso a coperture per evitare danni da pioggia e ridurre lo sviluppo di patogeni.

Il goji produce fin dall’anno di impianto. L. chinense, che ha uno sviluppo e una messa a frutto più precoce, fornisce una discreta produzione (500-900 g/pianta) già nel primo anno, mentre la piena produzione si raggiunge al 4°-5° anno.

Il frutto

Lycium barbarum produce le bacche più pregiate. I frutti sono di “buona” pezzatura (~ 1 g), generalmente di forma allungata (2 - 3 cm) con apice estroflesso e colore aranciato chiaro (Fig. 4). La polpa, non molto succosa, presenta pochi semi di piccole dimensioni. Il sapore è dolce. Il RSR è elevato (> 13°Brix, con punte di 19). L’acidità titolabile si aggira intorno a 15 meq/100 ml. Possono essere presenti leggere note di amaro.

Al contrario, i frutti di L. chinense sono di forma tondeggiante/ovoidale e pezzatura piccola (circa 0,5 g). La tonalità di colore può variare dall’aranciato scuro al rosso intenso. Presenta semi grandi, numerosi e spesso fastidiosi alla masticazione. L’elevata succosità della polpa lo rende poco adatto all’essicazione. Il sapore è caratterizzato da note amare anche molto pronunciate e persistenti, che lo rendono poco gradevole al consumo fresco. Il contenuto in solidi solubili si attesta intorno a 10°Brix, con acidità titolabile pari a 12 meq/100 ml. Si segnala la presenza, in alcuni materiali, di aroma di peperone e pomodoro, talvolta accompagnato da note piccanti.

 Prime osservazioni sugli aspetti nutrizionali

Presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino è stato condotto uno studio per descrivere le caratteristiche qualitative e nutraceutiche di frutti di goji prodotti in Piemonte presso il Centro Sperimentale del CReSO, determinandone i livelli di composti bioattivi, l’influenza sul fito-complesso totale del frutto e l’attività antiossidante.

I campioni di goji (0,5 kg per ogni pianta) sono stati raccolti manualmente nel mese di ottobre. A causa della confusione varietale a livello vivaistico (spesso le piante vendute derivano da semenzali di origine ignota), della difficoltà di distinzione morfologica dei frutti di L. barbarum e L. chinense e della frequente ibridazione tra le due specie,  è stato difficile  attribuire  l'origine genetica del genotipo commerciale analizzato: le informazioni qualitative, morfologiche e nutraceutiche hanno fatto ritenere probabile che si trattasse di L. chinense o di una cultivar ibrida tra le due specie.

Sono state svolte analisi di carattere morfologico (peso medio e dimensioni del frutto) e qualitativo (solidi solubili totali, acidità titolabile, pH). I frutti sono stati caratterizzati anche dal punto di vista nutraceutico (composti polifenolici totali, attività antiossidante, “fingerprint” analitico dei principali composti bioattivi), attraverso metodiche spettrofotometriche e cromatografiche ad alte prestazioni (HPLC). Per meglio comprendere se il goji potesse presentare pregi qualitativi e valore nutrizionale maggiore rispetto a quello di altri frutti, sono state effettuate le stesse analisi su alcune delle più comuni specie arboree e arbustive coltivate nelle medesime condizioni pedoclimatiche. Il “fingerprint” analitico è stato ottenuto attraverso l’analisi di specifici “biomarker” a rappresentanza delle principali classi bioattive interessate nei fenomeni di azione antiossidante e antiinfiammatoria verso l’organismo umano; in particolare, sono stati considerati gli acidi cinnamici, i flavonoli, gli acidi benzoici, le catechine, i tannini, i monoterpeni, gli acidi organici e le vitamine. I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (Test Anova) per il confronto delle medie (SPSS 18.0 Software) e al Tukey Test (P<0.05) per la suddivisione in gruppi. La deviazione standard (SD) è stata utilizzata come indicazione della variabilità dei dati presentati.

Il contenuto in solidi solubili totali ha mostrato un valore medio di 11,6°Brix, mentre l’acidità titolabile variava da 264,8 a 272,5 meq/l, con un pH medio di 3,4. Le analisi di carattere nutraceutico hanno evidenziato valori di polifenoli totali compresi tra 255,9 mgGAE/100 gPF e 281,9 mgGAE/100 gPF. I campioni di goji hanno inoltre mostrato un valore medio di attività antiossidante pari a 19,4 mmolFe2+/kg.

Relativamente alle analisi comparative effettuate, i frutti di Lycium spp. possono collocarsi nello stesso gruppo dei piccoli frutti, con caratteristiche simili dal punto di vista sia nutrizionale (contenuto in zuccheri e acidi organici), sia nutraceutico, presentando un contenuto in composti antiossidanti (polifenoli e vitamina C) e relativa bioattività paragonabile a quello di mirtillo gigante americano e di lampone (Tab. 1).

È stato inoltre creato un “fingerprint” fitochimico che caratterizza le principali classi bioattive coinvolte negli effetti positivi sulla salute umana: sono stati identificati 17 composti bioattivi di cui quattro acidi cinnamici (acido caffeico, acido clorogenico, acido cumarico, acido ferulico), un flavonolo (iperoside), un acido benzoico (acido gallico), due catechine (catechina, epicatechina), tre monoterpeni (fellandrene, sabinene, γ-terpinene), cinque acidi organici (acido citrico, acido malico, acido ossalico, acido quinico, acido tartarico) e una vitamina (vitamina C espressa come somma di acido ascorbico e acido deidroascorbico). Non sono stati rilevati isoquercitrina, quercetina, quercitrina, rutina, acido ellagico, castalagina, vescalagina, limonene, terpinolene e acido succinico.

I composti individuati sono stati raggruppati in diverse classi per valutare il singolo contributo di ogni classe al fitocomplesso totale che rappresenta l’espressione complessiva degli effetti salutistici come azione sinergica di tutte le molecole biologicamente attive presenti nel frutto. Il “fingerprint” ha evidenziato la prevalenza di acidi organici e composti polifenolici (come somma di acidi cinnamici, flavonoli, acidi benzoici, catechine e tannini) nella composizione chimica di tutti i campioni analizzati (sono stati considerati i valori medi); la classe più presente è risultata quella degli acidi organici (76,8%), seguita da polifenoli (16,2%), monoterpeni (6,1%) e vitamine (0,8%) (Fig. 5).

Conclusioni

I frutti di Lycium spp., a dispetto dei “claim promozionali che li descrivono come una ricca fonte di composti antiossidanti, acidi organici e composti polifenolici, non hanno mostrato un significativo valore aggiunto rispetto ai valori nutrizionali dei piccoli frutti coltivati in Piemonte.

Dal punto di vista agronomico, il goji sembra adattarsi bene alla coltivazione ai piedi delle Alpi e potrebbe andare ad arricchire l’offerta di piccoli frutti che già si coltivano nelle vallate piemontesi: mirtilli, lamponi, more e ribes, ecc. Perché questo possa realizzarsi occorre mettere a punto percorsi agronomici sostenibili sotto il profilo sia ambientale che dei costi di produzione. Se si intende commercializzare frutti freschi, per evitare la concorrenza del prodotto essiccato proveniente a bassi prezzi dall’Oriente, occorre individuare varietà di buona qualità organolettica, le cui bacche possano essere apprezzate al pari degli altri piccoli frutti già coltivati sul territorio.

Goji un nuovo superfruit - Ultima modifica: 2015-06-07T11:06:22+02:00 da Lucia Berti

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