I seminativi non rendono? Ecco l’alternativa

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La storia di successo di un imprenditore friulano che ha abbandonato i seminativi tradizionali per dedicarsi alla coltivazione dell'olivello spinoso e dei cereali per produrre birra

L’olivello spinoso è una di quella colture che oggi ben si adattano a chi voglia o debba riconvertire la propria attività agricola a seminativi in qualcosa di promettente e redditizio. La bacca rossa di questa pianta, ricchissima di vitamine e di vari oligoelementi, si presta a ottenere, con poco sforzo, succhi e sciroppi ricostituenti, tonificanti, antisettici e cicatrizzanti. In tutto si arriva a un insieme di quasi 200 prodotti che oggi potrebbero rappresentare un buon investimento per la creazione di una nuova nicchia di mercato. L’olivello spinoso, oltretutto, non richiede molte cure, è piuttosto resistente e si adatta anche a terreni poveri e a stagioni siccitose.

Riccardo Vanone

Addio ai seminativi tradizionali

Così, c’è chi come il friulano Riccardo Vanone, 36enne di Premariacco (UD) eredita la propria azienda di famiglia e abbandona i seminativi tradizionali per una nuova avventura con questa interessante coltivazione. Rinasce così l’Azienda Rodaro Caterina di Vanone Riccardo, (dal nome della madre di Vanone) la quale ha puntato su un prodotto innovativo che, raccolto in rami, viene congelato per estrarre le bacche che vengono poi spedite in Germania per l’utilizzo in campo farmaceutico e della cosmesi. La continua voglia di reinventarsi non ferma Riccardo che sta già studiando come utilizzare la pianta nel prossimo futuro e che è impegnato, attualmente, anche a gestire un ramo parallelo dell’azienda che si occupa della produzione di una birra artigianale, la “Fresca di frigo”. «È ispirata al mio soprannome - racconta Riccardo - qui tutti mi chiamano Frigo». La suddetta bevanda finisce direttamente sulle tavole e al bancone del suo agriturismo sulle colline di Dolegna del Collio (GO).

Per la birra un consorzio di imprese

Ma come nascono e si integrano due attività produttive così diverse? «Nel 2016, non potendo dedicarmi al vino come fa mio zio, dato che non possiedo né vigne né terreni adatti, ho aderito all’Asprom, un consorzio agricolo di Pocenia (Ud) che conta 105 aziende agricole e con il quale abbiamo avviato un impianto di produzione di birra. Questo consorzio – spiega Vanone – usa solo cereali e luppoli friulani, credo sia una delle reti di imprese più grandi in Italia in questo settore. Ognuno conferisce il suo cereale, lo fa diventare malto e poi produce la birra che vuole. Un po’ come si faceva con le latterie di una volta. L’agriturismo è praticamente una birreria agricola che abbiamo inventato dopo, dove serviamo, oltre alle classiche grigliate di carne, anche verdure prodotte da noi. Abbiamo aperto alla fine del 2016. Per quanto riguarda la birra, abbiamo iniziato ad avere anche qualche richiesta da importatori esteri. Invece per l’olivello spinoso è tutto un altro discorso. Avendo dei terreni con cereali che non davano più reddito e calcolando tutte le spese, che sono ingenti, abbiamo pensato di intraprendere una produzione che sia, oltre che innovativa, anche remunerativa. Abbiamo individuato, grazie a un amico di mio padre, questa bacca nota per le sue proprietà fin dall’antichità e due anni fa abbiamo avviato la piantagione. La produzione inizia solo al terzo anno e quindi raccoglieremo nel 2019. Sono piante un po’ lente ma resistenti al gelo e non necessitano di molta manutenzione. In Norvegia, ad esempio, le irrigano con l’acqua di mare, quella non troppo salata. L’olivello cresce anche nella sabbia o nella ghiaia. È un prodotto, il nostro, completamente biologico e certificato come tale. Da queste parti cresce spontaneamente sul greto dei fiumi ma quello che abbiamo noi è di qualità superiore. Il frutto è molto adatto per far fronte a malesseri invernali come la febbre o il raffreddore. Vorremo creare, nel prossimo futuro, uno sciroppo o una bibita da pronto consumo – ipotizza Vanone – speriamo di intessere una rete commerciale che ci aiuti in questo. Diciamo che, in sintesi, con l’olivello spinoso si possono creare circa 200 prodotti, dalla crema per le mani agli oli ai prodotti curativi. Ci sono già molte aziende che lo usano ma anche altre che cercano le bacche, non sempre facilmente reperibili. Chi le scopre ci fa i soldi. È ancora qualcosa di quasi introvabile e costoso. Per qualche anno forse riusciremo a sfruttare il mercato. In questo momento praticamente non c’è concorrenza. Potrebbe essere un’opportunità anche per il mercato italiano».

Produzione e redditività

Il vantaggio economico ci viene spiegato poi attraverso alcuni semplici calcoli, forse approssimativi ma che aiutano a rendere l’idea. «È una piantagione che – dicono – può arrivare a una produzione di 200 quintali per ettaro. A Monaco in fiera l’olivello in bacche veniva venduto a 14,5 €/kg. Noi abbiamo 10 ettari, se funziona ci allargheremo». E, oltre alla quantità, conta anche la qualità del prodotto. «Oltre a essere biologiche, le nostre piante hanno una concentrazione più alta di vitamine rispetto a quelle selvatiche, dato interessante anche per la farmaceutica». Parliamo principalmente di vitamina C in quantità superiore rispetto agli agrumi e ai kiwi ma ci sono anche le vitamine A, B, C, E e P, oligoelementi come calcio, ferro, fosforo, magnesio, potassio e sodio, carotenoidi e flavonoidi, vari tipi di acidi tra cui acido folico e acido palmitoleico e i ben noti Omega 3, accompagnati da Omega 6 e Omega 9.
In definitiva, se quella dell’olivello spinoso sembra essere una buona intuizione per l’azienda di Premariacco, qui si guarda già ad altre opportunità che arrivano, stavolta, dal fronte legislativo. «Il mondo agricolo, da dicembre, grazie un nuova norma potrà sfruttare anche il settore dello street food. Vediamo cosa succederà quando diventerà attuativa» conclude l’imprenditore friulano.
Gli agricoltori secondo la nuova legge potranno vendere i propri prodotti in forma itinerante. «Un sistema che ci permetterà di evitare le insidie del mercato nazionale - conclude Vanone - che non ti dà nulla, e di far arrivare al cliente un prodotto a chilometro zero con un prezzo conveniente. Abbiamo avuto un’esperienza con un chiosco due anni fa, vicino a Bosco Romagno ed è andata molto bene già solo vendendo birra in bottiglia altrui. Domani potrei vendere la birra mia».

Se sei un agricoltore innovatore e vuoi raccontarci la tua storia scrivi a: simone.martarello@newbusinessmedia.it

I seminativi non rendono? Ecco l’alternativa - Ultima modifica: 2018-06-13T09:59:43+02:00 da Simone Martarello

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