ENERGIA IN SERRA

Acqua calda dai residui oleari

Massimo Manni, floricoltore di Taviano (Le), utilizza quattro caldaie a biomassa per riscaldare 3 ha coltivati a crisantemo programmato. In questo modo risparmia sui costi e riesce a sopravvivere ai bassi ricavi di vendita

«Senza queste caldaie ad acqua non avrei potuto continuare il mio lavoro, perché è impossibile riscaldare le serre con il prezzo del gasolio agricolo agevolato a quasi 1 €/l. A esse devo la sopravvivenza della mia azienda. In alternativa avrei dovuto o chiudere per non andare in passivo o, ipotesi improponibile, coltivare solo nei mesi tiepidi e caldi oppure arrangiarmi a produrre qualcos’altro in serra fredda». Massimo Manni, floricoltore di Taviano (Le) impegnato insieme con il figlio Rudy nella coltivazione di crisantemo programmato in quasi 3 ha di serre in ferro-vetro con copertura in plastica, con le sue parole franche non lascia spazio a equivoci. Dopo quasi due decenni, a partire dal 1992, spesi nella produzione di crisantemi dodici mesi all’anno, nel 2010 stava per chiudere. I costi energetici per riscaldare le serre erano diventati insostenibili e, sommati agli altri costi, fra cui quello dell’energia elettrica per l’illuminazione e per tutti gli altri fabbisogni aziendali, non rendevano più conveniente quell’attività floricola.

«Il crisantemo programmato è una coltura particolare, che non tutti sanno e riescono a fare, perché l’investimento, non solo economico, ma anche in termini di tempo e di attenzione, è molto alto. Però a me è sempre piaciuto cimentarmi con questa coltura “difficile” e riuscire a portarne i fiori sul mercato da gennaio a dicembre. E poi, proprio per le difficoltà legate alla continua programmazione, la concorrenza é molto scarsa, sul mercato c’è poco crisantemo di altri produttori».

Riscaldare in inverno, raffreddare in estate

Per ottenere un buon prodotto il crisantemo ha bisogno di una temperatura minima interna alla serra di almeno 15-16 °C, puntualizza Manni. «Può invece accusare problemi di sviluppo di gemme vegetative e quindi di eccessiva vegetazione, se la temperatura interna supera i 35 °C. Perciò è necessario nei mesi freddi riscaldare e in quelli caldi raffreddare la serra. Riscaldavo le vecchie serre, in cui lavoravo negli anni ’90, con aria calda prodotta da bruciatori alimentati con gasolio. Invece le nuove serre realizzate qua vicino, a Racale, nel 2001, da 8mila m², e a Taviano nel 2004, sempre di 8mila m², le ho riscaldate con acqua calda utilizzando sempre il gasolio come combustibile. Il riscaldamento con aria calda è poco omogeneo, invece quello con acqua calda è più efficace e conveniente. Infatti, l’acqua calda viene inviata in un telaio di tubi alzarete che fa da sostegno alle piante: così l’acqua calda cede il calore direttamente alle piante, quasi a livello basale quando sono piccole e poi all’intero stelo man mano che crescono. L’unico inconveniente è che la temperatura dell’acqua non deve superare i 40-45 °C per evitare che il calore eccessivo bruci le foglie più vicine ai tubi. Ma a ciò rimedio con tubi aerei, che, trasportando acqua a 70-80 °C, contribuiscono a riscaldare l’ambiente delle serre».

Riscaldare le serre con acqua calda prodotta con gasolio, ha verificato Manni, conviene più che farlo con aria calda ugualmente ottenuta con il gasolio. «Questo è un fatto certo, ma a un certo punto, nel 2010, mi è stato altrettanto chiaro che con il prezzo del gasolio agricolo agevolato schizzato in un anno da 0,6-0,7 €/l a quasi 1un euro al litro non mi conveniva più nessuna delle due soluzioni. Anzi, a dire il vero, il gasolio converrebbe solo se costasse 0,3 €/l. Sicché cominciai a guardarmi in giro e a partecipare a diverse mostre sulle energie rinnovabili, come Solarexpo di Verona, dove comprai per una delle due serre da 8mila m² una caldaia della D’Alessandro Termomeccanica, ditta specializzata nella produzione di generatori di calore, per la produzione di acqua calda a 90 °C, alimentabili con diverse biomasse».

Gasolio addio

Manni è rimasto così soddisfatto dai risultati offerti dalla prima caldaia che in breve tempo ne ha comprate altre tre. Prima una per l’altra serra da 8mila m², poi due per una terza serra da 13mila m² che ha realizzato a Taviano nel 2011. Queste caldaie, che lavorano a una pressione massima di esercizio di 3 bar, hanno una potenza termica al focolare, durante la combustione, pari a kW 1.118 e una potenza termica nominale, al riscaldamento dell’acqua, di kW 950, con un rendimento altissimo: rispettivamente di oltre il 90% e dell’88-89%.

«Sono caldaie a biomassa facili da gestire, veri e propri forni che possono essere alimentati con cippato, pellet, sansa, nocciolino, scorze di mandorle e nocciole, ma nelle quali posso bruciare anche cippato, legno di scarto, ad esempio le pedane rotte e così via. Alcune di queste macchine sono dotate di un sistema di pulizia automatica dalle ceneri delle fasce tubiere, altre richiedono la pulizia manuale. Ogni caldaia è provvista di una tramoggia di raccolta della biomassa e di una coclea che la trasporta nella caldaia. In particolare le due caldaie per la serra da 13mila m² sono provviste di un’unica tramoggia da 50 q, sufficiente per riscaldare la serra in due notti invernali molto fredde: due coclee alimentano i serbatoi delle caldaie».

Nel Salento le biomasse più disponibili e facili da reperire sono la sansa e il nocciolino, acquistabili da sansifici locali. «La sansa costa meno, 8 €/q, ma produce più ceneri e quindi ha un rendimento più basso, il nocciolino costa 14 €/q, ma sporca meno, richiede minore manutenzione per la caldaia e ha una resa maggiore: comunque fra vantaggi e svantaggi, tecnici ed economici, più o meno si equivalgono, perciò compro la biomassa che trovo più facilmente. Per alimentare le quattro caldaie occorre molta materia prima: con 200 q di nocciolino riesco a riscaldare una superficie di 10mila m² per 8-10 giorni in pieno inverno. Nonostante il costo della materia prima e quello delle caldaie, compreso il loro ammortamento, risparmio molto rispetto a quanto utilizzavo il gasolio».

Prezzi fermi alla lira

Per Manni l’abbattimento dei costi si rivela importante perché aiuta a compensare il basso prezzo di vendita dei crisantemi che vende al mercato dei fiori di Taviano a grossisti che poi li rivendono in Puglia, nel Nord Italia e in Grecia. I crisantemi vengono confezionati in fasci da cinque steli lunghi 75-80 cm; ogni fascio è avvolto in una busta di plastica trasparente che copre interamente gli steli; infine 16 fasci, comprendenti in totale 80 steli, vengono sistemati in un apposito cartone.

«Coltivare crisantemo programmato era molto più conveniente all’epoca della lira. Oggi produrlo è diventato molto più costoso, ma il prezzo di vendita non si discosta affatto da quello di 15 anni fa. Allora vendevo un fascio di cinque steli a 2.200-2.500 £, adesso spunto un prezzo estivo di 1-1,2 € e un prezzo invernale, da dicembre a marzo, di 1,5 €. Le 440-500 £/stelo corrispondono agli attuali 0,2-0,3 €/stelo. Ma i costi attuali sono molto più elevati di quelli di allora. E in più la domanda è in calo, sia per la generale crisi economica sia per il divieto sempre più diffuso nei cimiteri di utilizzare fiori freschi durante il periodo estivo, da giugno a settembre, per evitare la loro putrefazione nell’acqua e la conseguente formazione di cattivi odori. Per fortuna il crisantemo comincia a essere utilizzato anche per gli addobbi matrimoniali, soprattutto le varietà bianche a forma di margherita. Tuttavia in estate riduco la produzione e l’offerta di circa il 50%, lasciando riposare il terreno. Non serve spendere e produrre crisantemi per poi trinciarli e metterli sotto terra»

Acqua calda dai residui oleari - Ultima modifica: 2013-05-07T16:09:41+02:00 da nova Agricoltura

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