SPECIALE COLTURE PROTETTE

Una serra a misura di robot

Il futuro sarà a base dimateriali “intelligenti”, fonti rinnovabili, led e pochi operai specializzati

Predire il futuro non è mai stata un’impresa semplice, ma in genere si dice che, a saperlo guardare, sta già nell’evoluzione del presente. Anche le serre pare che non facciano eccezione a questa regola.

Occorre premettere subito che non esiste un unico modello per il futuro di questo settore, la serra ideale deve tener conto di molti fattori locali:

– il clima, visto che è una struttura adottata, innanzitutto, per controllare o modificare il clima a disposizione di colture orticole o floricole;

– i costi di produzione (manodopera, energia, fertilizzanti, etc.), che possono variare da un fattore 3-4, fino a un fattore 10-20, a seconda che ci si trovi in un paese in via di sviluppo o in uno a tecnologia avanzata;

– l’ambiente socio-economico e la disponibilità di infrastrutture e di conoscenze, per ottimizzare l’uso di una determinata tecnologia; infatti, il trasferimento di modelli eccellenti in Paesi occidentali, verso Paesi asiatici o subtropicali, si è dimostrato spesso molto problematico, se non addirittura fallimentare;

– la presenza o meno di buoni canali di esportazione, ma anche di un solido mercato interno; in alcuni Paesi in via di sviluppo, infatti, la serricoltura ha avuto un boom enorme negli ultimi anni, perché favorita da bassi costi di produzione, soprattutto manodopera, e perché trainata dall’export verso Paesi a moneta forte, ma è incappata spesso anche in gravi “incidenti di percorso”, in caso di blocco dell’export, perché mancava completamente un mercato interno in grado di pagare la qualità di determinati prodotti.

Esistono pertanto molti modelli ideali di serre, attuali e per il futuro, e altrettanti modi per classificarli, però tutti raggruppabili, alla fin fine, in due grandi mondi: quello delle serre tecnologiche e quello delle serre passive.

Leader del primo mondo, da molti anni, è l’Olanda; a capo del secondo, se non altro per la forza dei dati statistici, c’è sicuramente la Cina.

La questione energetica

Il principale fattore per classificare i modelli esistenti e dividere i due “mondi”, ma anche per interpretare i trend in atto, è sicuramente la questione energetica che, dominando gran parte delle scelte politiche ed economiche del pianeta, ha i suoi riflessi anche nelle serre.

Fino a pochi anni fa si parlava di una grande contrapposizione tra serre “riscaldate” olandesi e serre “fredde”, riferendosi sia al modello mediterraneo, che alla tipica “serra solare” cinese, ma oggi non è più così.

Anche l’Olanda, infatti, si è incamminata definitivamente verso la strada delle serre a basso, se non addirittura a “zero input” energetico, solo che non lo sta facendo tramite un “impoverimento” del sistema ma tramite un salto tecnologico ancora più estremo che in passato.

Non si tratta di sogni o di prototipi, ma di modelli che sono arrivati, in molti casi, già allo stadio commerciale e, nella brevità di questo articolo, ne citiamo solo alcuni.

La cosiddetta serra chiusa o semi-chiusa, innanzitutto, ovvero una serra che funziona come un collettore di energia termica in estate, per poi accumularla nelle falde al di sotto della serra, in vista del suo utilizzo nei mesi invernali.

Tranne un breve periodo estivo (luglio), in cui è più efficiente ed economico lo smaltimento per ventilazione dell’eccesso di energia solare accumulata, per il resto dell’anno le finestre della serra sono sempre chiuse.

Immagazzinata nella falda freatica

L’aria caldo-umida all’interno viene continuamente rimescolata (destratificata) tramite ventilatori e grosse tubazioni poste al di sotto delle canalette di coltura e veicolata verso degli scambiatori di calore collocati lungo le testate della serra. Tramite pompe di calore, l’energia termica viene ceduta a un secondo circuito in contatto con la falda freatica, a ca. 60-100 m di profondità, dove rimane immagazzinata, grazie all’alta inerzia termica, fino all’inverno successivo.

Il sistema è così efficiente che viene accumulata una quantità di energia ca. 2,5 volte quella necessaria al riscaldamento invernale. Una serra chiusa, infatti, per funzionare, ha bisogno o di un’altra serra tradizionale accanto, o di una grande utenza (un villaggio, una scuola, un ospedale, ad esempio), a cui cedere il surplus di energia. Se non viene scaricata in inverno l’energia accumulata (raffreddamento della falda), nell’estate successiva non può riprendere il ciclo di accumulo.

L’energia elettrica richiesta dalle pompe di calore necessarie per il funzionamento del sistema viene prodotta da impianti di cogenerazione a gas. Dai loro fumi di combustione viene recuperata la CO2 la quale, immessa in una serra con le finestre chiuse, viene in gran parte utilizzata dalle piante per incrementare la fotosintesi.

Su concetti simili si basa anche un altro modello in corso di studio in Olanda, ovvero la cosiddetta “serra produttrice di energia, che ha l’ambizione di non solo azzerare in pochi anni l’input di energie fossili, ma addirittura di trasformare la serra da consumatrice ad esportatrice di energia.

Bastano alcuni numeri per capire che tutte queste ricerche sono già a un buon punto del percorso. Fino a qualche anno fa in Olanda servivano ca. 45-50 m3 di gas per m2 di serra per produrre ca. 60 kg/m2 di pomodoro. Oggi siamo già a 20-22 m3 per produrne 70-75. Una serra chiusa è in grado di accumulare in un anno l’equivalente di energia fornito da ca. 100 m3 di metano.

Totalmente rinnovabile

Anche nell’uso dell’energia geotermica l’Olanda ha stupito molti ultimamente, soprattutto chi pensava che tale fonte rinnovabile fosse appannaggio delle sole aree sismiche mediterranee. È già operativa, infatti, una serra di pomodoro riscaldata da acqua a 70 °C, scambiata con un pozzo a ca. 1.500 m di profondità. È un grosso investimento, ma si è già calcolato che il risparmio energetico lo può ripagare in 7-8 anni. Oggi l’energia elettrica per prelevare e ri-pompare nel pozzo l’acqua calda è prodotta da un impianto di cogenerazione, ma in futuro sarà di origine eolica, quindi si avrà un sistema a energia totalmente rinnovabile.

Va ricordato che le serre chiuse, proprio perché non hanno finestre, riescono anche a ridurre al minimo o persino azzerare l’ingresso di parassiti, quindi anche il ricorso a trattamenti chimici. Anche il consumo d’acqua è minimo, perché tutta quella traspirata viene condensata negli scambiatori di calore sulle testate e riciclata: è difficile, se non impossibile, pensare al momento a un sistema più efficiente di questo nell’uso dell’acqua a fini agricoli.

Ricercatori e agricoltori cinesi, invece, continuano a sostenere la validità della “serra solare”, che pure non fa uso di energie fossili. Si tratta di piccole unità familiari di ca. 2.000 m2 di superficie, orientate a Sud e sostenute a Nord da uno spesso muro di terra, il quale a accumula l’energia termica del sole di giorno, per cederla alle colture di notte. Ovviamente di notte la serra deve essere chiusa da materiali isolanti per ridurre le dispersioni.

La Cina crede molto a questo modello, ma si sta anche dando molto da fare per ottimizzarlo, ad esempio tramite materiali più coibentanti.

Strutture e materiali di copertura

Un altro grande fronte di ricerca ed evoluzione delle serre riguarda le strutture e i materiali di copertura.

I trend principali appaiono assai chiari e definiti: serre sempre più alte, per rendere più stabile il clima, quindi più efficienti la traspirazione e la fotosintesi, e coperture “intelligenti”. Anche qui gli olandesi hanno fatto scuola: una serra alta 6-7 m alla gronda, rispetto a una di “soli” 4-4,5 m, può aumentare le rese, a parità di tutti gli altri fattori, fino al 20-25%.

Anche il modo dei materiali di copertura, sia vetri che plastiche, è in grande fermento e gli obiettivi sono assai definiti: massima trasmissione della radiazione fotosinteticamente attiva da una parte, associata a una buona diffusività, per massimizzare la fotosintesi, e coibentazione dall’altra, per ridurre gli scambi termici con l’esterno.

Molto interessante si sta rivelando l’uso di vetri o teli a “luce diffusa”, purché non vi sia una riduzione significativa della trasmissività totale, in quanto aumenta la radiazione disponibile all’interno della chioma delle colture, con incrementi di fotosintesi, quindi anche di resa, dal 5 al 15%.

Dopo i primi interessanti risultati, si è invece un po’ raffreddato il fronte di ricerca sui materiali cosiddetti NIR-selettivi, ovvero in grado di trasmettere tutta la luce nel visibile e riflettere la componente nell’infrarosso vicino (Near Infra Red), che è ca. il 50% della radiazione solare ed è quella che scalda la serra.

Le prestazioni non sono ancora soddisfacenti, ma le promesse future, in caso di successo, sarebbero straordinarie, una vera rivoluzione copernicana per il mondo delle serre. L’obiettivo a lungo termine dei ricercatori, infatti, sarebbe quello di materiali che riflettono il Nir, quando in eccesso, così la serra non si surriscalderebbe d’estate, ma di lasciarlo filtrare quando la temperatura esterna si abbassa, così da riscaldarla. Nessuno però al momento è in grado di dire né se questa ricerca arriverà agli obiettivi prefissati, né in quanto tempo.

Un trend in atto già da molti anni, invece, ma ancora poco perseguito in ambiente mediterraneo, sarebbe quello dell’uso su larga scala di teli in alluminio fissi, o meglio mobili, in funzione di coibentazione notturna, grazie al suo noto bassissimo coefficiente di trasmissione termica.

Altri fronti di ricerca

Un altro interessante fronte di ricerca ed evoluzione riguarda il settore dell’illuminazione artificiale, ovvero l’applicazione di lampade a Led, al posto di quelle tradizionali a vapori di sodio.

Le prospettive devono essere molto promettenti, visto che due colossi del settore, Philips e Lemnis Lighting, hanno deciso recentemente di interrompere la competizione e, invece, di scambiarsi alla pari brevetti e pacchetti azionari, prevedendo che il settore sarà dominato entro 7-8 anni per il 75% dai Led, in quanto possono portare ad un abbassamento dei fabbisogni energetici fino al 75%.

Moltissime sono le sperimentazioni in atto (rapporto tra luce rossa e blu, collocazione sovra- o infra-chioma, recupero del calore, etc.), ma già esistono alcune applicazioni commerciali di successo.

Un altro fronte, infine, in cui fa sempre da apripista l’Olanda, soprattutto a causa dei suoi alti costi di manodopera, è quello dell’automazione, o meglio della robotica, che si sta insinuando lentamente, ma inesorabilmente, in quasi tutti i settori delle produzioni orticole e floricole protette.

Tutto fa pensare, quindi, che la serra del futuro, nei Paesi avanzati, sarà un struttura alta, coperta di materiali “intelligenti”, che fa uso solo di fonti energetiche rinnovabili, o addirittura le produce, probabilmente illuminata e Led, con sempre meno operai e sempre più tecnici altamente specializzati.

Nei Paesi emergenti, o a clima temperato, sarà invece una serra “passiva”, ma che fa sempre più uso di materiali e soluzioni “attive”.

(*) CERES S.r.l. – Società di Consulenza in Agricoltura

Una serra a misura di robot - Ultima modifica: 2013-04-12T12:02:00+02:00 da nova Agricoltura

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